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La voce del dato (5) - Il marketing dell'italiano

1. L’italiano come strumento di marketing

Il tema della funzione identitaria della lingua italiana è piombato sul tappeto mobile della catena onlife del passaparola, trascinato da una (non recente) polemica politica; se ne dirà in coda a questo episodio della newsletter. L’italiano, nelle sue tante declinazioni lessicali, concettuali, e tematiche, è un potente strumento di marketing, come effetto della gloriosa (e paradossalmente secolare) tradizione culturale del made in Italy. Uno strumento semiotico potente che, di conseguenza, ha un’estensione semantica molto ampia e che andrebbe perciò maneggiato con una cura che non sempre si osserva in chi, con grande frequenza, lo utilizza. Nel suo piccolo, ne è testimone anche tropic, che nella sua attività quotidiana di verifica dell’efficacia dell’advertising, incorre spesso nella constatazione degli effetti controfattuali di un uso del tema dell’italianità purtroppo non sempre attento alle possibili ricezioni. Nell’èra della saturazione dei mercati, della saturazione delle arene, della saturazione dell’attenzione, e della personalizzazione (di massa), la ricerca della distinzione rispetto ai competitor e il processo di identificazione tra brand/prodotto, pubblico e contesto (integration) fondato sul “country of origin effect” deve poggiare su una conoscenza dettagliata della struttura semiotica dei tre fattori, ancor più nel caso del potente dispositivo del “made in Italy”.

La persistenza degli attributi correlati al “made in Italy” si può facilmente apprezzare, per esempio, guardando oggi un documento storico (citato da Dellapiana in apertura del suo “Il design e l’invenzione del Made in Italy”): si tratta di un cinegiornale del 1953 dell’Istituto Luce, in cui si elencano i portenti del “fabbricato in Italia”, con citazioni dal mondo dell’industria pesante, dei trasporti, dell’abbigliamento, della nautica, delle automobili, della ceramica, dei tessuti, dell’alimentazione, della musica, del cinema, e via elencando.

Molti di questi si ritrovano tra le parole, e i temi, maggiormente menzionati in una selezione di 10.000 messaggi rilevanti, che hanno assieme generato più di 7 milioni di interazioni, selezionati da tropic in un vastissimo corpus di 681 mila messaggi (prodotti da circa 400 mila fonti), in cui compare la parola italiano (con alcune sue varianti morfologiche). Una messe con una reach stimata in 27 milioni di potenziali lettori. Sono messaggi pubblicati in una porzione molto ampia del web di lingua italiana dal 7 dicembre al 5 gennaio scorsi.

Nella struttura del campo semantico si notano gli effetti della convocazione, nel dibattito politico, del tema del ruolo della lingua italiana, ma si rintracciano già alcuni argomenti correlati, come l’orgoglio nazionale, il confronto con l’estero, la musica, lo sport, le auto, il cinema (tutti temi non a caso declinati nel formato della politica pop nella ormai permanente campagna elettorale, con maggiore o minore perizia certo).

Il trend mostra un andamento delle menzioni piuttosto omogeneo, eccezion fatta per la pausa natalizia.

Il sentiment generale è francamente positivo (nonostante la coincidenza potenzialmente “polarizzante” della polemica politica).

La lingua italiana compare tra i topic maggiormente rilevanti nel corpus “maggiore”.

Mentre tra gli hashtag #madeinitaly occupa un posto preminente.

Lo scorso anno, la chiave “italiano” ha registrato il volume di ricerca maggiore sui motori di ricerca tra gennaio e aprile.

E, come conseguenza del dato appena mostrato, domina il kpi del traffic share rispetto ad alcune varianti.

2. La funzione identitaria della lingua italiana

Queste poche righe sono un piccolo addendum, sempre e solo nella prospettiva adottata da tropic: le ricerche di marketing. L’italiano è infatti uno strumento potente pure del marketing politico, e tropic ne osserva con interesse pure lì i vari esemplari.

L’eco di un certo dirigismo in materia di fatti linguistici è risuonato nella polemica politica correlata alla proposta di riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica, e alle doglianze sull’eccesso di parole straniere in uso nella lingua dei media, del commercio, e dell’amministrazione pubblica. Proposta e doglianze che, rispetto alle sue più immediate potenzialità di marketing per chi la avanza, è correlata alla funzione identitaria della lingua.

È un tema (la «difesa dell’identità italiana delle nostre città e paesi») esplicitato in un utile approfondimento, coevo alla polemica politica, pubblicato dal quotidiano Domani. L’articolo, a firma di un’esperta reputata, ricorda pure che “la legge ordinaria, in linea con l’impostazione costituzionale, riconosce espressamente l’italiano come «lingua ufficiale della Repubblica» (l. n. 482/1999)”.

Il tema del “riconoscimento giuridico” dell’italiano quale lingua ufficiale della Repubblica, e della sua “costituzionalizzazione”, non è infatti nuovo. Un illustre testimone ha di recente ricordato che nel 2006 anche l’Accademia della Crusca era stata mobilitata e che, come esito, era stata addirittura già approntata una bozza di articolo.

Se si osserva il tema della “difesa” della lingua italiana dalle influenze esterne da una prospettiva semio-linguistica, un utile supporto viene dalla lettura di un saggio che nel 1987 un illustre linguista dedicò alla faccenda, dal titolo Morbus anglicus. Oltre a varie proposte di adattamento di parole straniere in uso (tra cui vendissimo per bestseller, contributo sanitario per ticket, numerico, o cifrale, per digitale), vi si ritrovano, tra le fonti, delle lamentele sul “parlare esotico” che risalgono già all’inizio degli anni ‘60 del secolo scorso.

Addedum n. 2

Il lettore interessato invece agli studi non sull’italiano in Costituzione, ma sull’italiano della Costituzione, troverà invece un valido supporto nell’introduzione che De Mauro ha dedicato alla questione nell’introduzione de “La Costituzione della Repubblica del 1947” (per UTET).

Addendum n. 3

Grazie agli archivi cifrali digitali della Camera è possibile consultare la revisione del testo della Costituzione svolta tra il 1946 e il 1947 da Pietro Pancrazi. Il testo, con una nota autografa conclusiva, conserva memoria di alcune della proposte stilistiche di revisione poi accolte, come il passo «L’Italia è Repubblica democratica […]» che, grazie a Pancrazi, diviene «L’Italia è una Repubblica democratica […]».

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